Contributi critici

Gianfranco Falcone (Dottore in filosofia e psicologia; psicoanalista, insegnante e scrittore) 10/05/2008In occasione della collettiva-concorso "Dissacrazione", Symposium XXI, Milano.
La strada scelta da Francesco in queste dissacrazioni è forse la più ardua, non si tratta di una mera riduzione del sacro a una dimensione profana. L’artista, nel dissacrare e togliere il velo, torna a una dimensione più profonda del sacro. Così sia in “Mano di poker” che ne “La a 64ª casa” troviamo una simbologia che richiama a un senso del divino tipico della chiesa primitiva, svelando e dissacrando quanto l’istituzione ha sovrapposto all’intimo bisogno dell’ultraterreno.

Pamela Maione (curatrice ) 27/01/2008
In occasione della collettiva-concorso "Primo premio Rudra"

"Al bar": una coppia di fattezze espressionistiche, i loro corpi vissuti raccontano attimi di vita cruda, il loro sguardo ci ricorda quanto la vita sia dolorosa e a volte ci lascia soli ad osservare.

Gabriele Palma
(storico dell'arte) 11/11/2004

In occasione della doppia esposizione personale "Volti e Storie".

In ognuno di questi volti si legge l’intenzione di cogliere l’attimo che racchiude uno spazio vitale o, per meglio dire, il periodo di riflessione su tale vissuto: tutti i soggetti sembrano colti nell’attimo di pensare, di riflettere o di ricordare.
Non c’è movimento palese, solo una dinamica interiore che muove se stessa, incurante dell’esterno, un’autentica "riflessione”.
Esprimere ciò che non appare sembra essere l’intento di FF. Non un espressionismo codificato e manifesto, ma nascosto e individuale: un Espressionismo Autarchico.
Le forme sembrano attingere alle tavole dei grandi disegnatori del fumetto, ma non solo. Un volto in particolare rammenta una delle prime copertine dei King Crimson, una adeguata colonna sonora per queste immagini …

Gianfranco Falcone Novembre 1993In occasione della retrospettiva del 1993 alla Galleria "Il Campo" di Renato Marini.

C’è cuore e cervello nell’opera di Francesco, e forme che non lasciano facili concessioni ne a se stesso ne all’osservatore.
Turbato e dissacrante, con un doloroso e profondo amore per la vita, usa il colore per plasmare visioni interiori.

Antonio Chimisso (psicologo), 1993In occasione della retrospettiva del 1993 alla Galleria "Il Campo" di Renato Marini.

(…) Un buon attore, si sa, ha bisogno di un ottimo pubblico. Nel caso di Francesco di gente che ami attraversare la notte, quella lunga e “spiritosa”.
Siamo quasi invidiosi di quel che sa fare, della sua arte che sforma e deforma, procede per vie tortuose e sputa nell’unico occhio del luogo comune, dell’estetica del tempo e della sorte.

Giannino Mastronardi. (critico d'arte) da CORRIERE del MOLISE, dicembre 1993In occasione della retrospettiva del 1993 alla Galleria "Il Campo" di Renato Marini.

In tempi di ristrettezza e di riciclaggi culturali perpetuati in nome di un privo insensibile richiamo ai valori più profondi dell’arte europea del XX secolo, (…) affrontiamo una sfida culturale di grande fascino, rischio e provocatorietà. L’opera di Francesco Falcolini ci appare come una delle più interessanti proposte molisane di questi ultimi anni. Espone in questi giorni (…) un’antologia di disegni, bozzetti, schizzi, studi: il colore lievita nell’opera, s’intrinseca nel segno che talora sacrifica, occulta, spezza. Indubbiamente la pittura riflette la crisi di identità dell’uomo contemporaneo sia sotto l’aspetto formale che contenutistico. Infatti, esiste una tensione massima nelle sue strutture figurali ed un gusto per tracciati che sfidano la logica, il sereno impegno della ragione. Di qui l’impatto violento del colore graffiato sulla tela che risente del gesto rapido e della possibilità unica di libertà autentica. Nel liberare in realtà le sue immagini fissa il colore in linee ed in contorni in movimento giacché il giovane pittore coglie e ferma un ritmo di vita che fa suo sul piano della fantasia. E ciò che è stato intuito da Falcolini si fa vitale nelle linee, nei colori e nei volumi proprio grazie a questo ritmo.

Achille Pace (pittore), agosto 1988Pubblicato sul catalogo della mostra "La pittura rivolta all'Europa".

Temperamento inquieto e solitario. Opera con una materia pittorica concitata e disperata. Fa pensare a Soutine per l'angoscia esistenziale del colore e, per i segni, agli espressionisti tedeschi, per quella concettuale e depressa volontà espressiva. Un cromatismo lacerato, libero e intenso, diventa realtà espressiva dell'autore.

Hugo Horlando (pittore e critico d'arte), giugno 1988Un generoso contributo del maestro e critico scomparso.

E' bene chiarire l’ottica che ci spinge ad entrare nella dinamica operativa di Francesco Falcolini, chiedendoci in che misura la sua opera è identificabile con l’esperienza, la storia, le prospettive culturali che canalizzano le arti visive da circa un secolo.
Evidentemente ci fa obbligo prendere atto di queste proposte formali oltre che da un punto dei significati, delle tecniche compositive e dei linguaggi, in primo luogo dal terreno culturale che emerge in ogni opera remota o recente dell’autore.
Il giovane pittore è un espressionista convinto che però si stacca dai maestri tedeschi del primo novecento o dalle teorie assunte in accademia ove si è formato. Da quei concetti storici e didattici è già il superamento. Infatti in lui è chiara l’aspirazione ad artista di punta, nel timore di lasciarsi trascinare nelle retrovie storiche.
Le prime opere seguono ancora un comporre figurativo e pertanto la macchia del colore rimane sempre sottoposta ad un vago senso del reale. Poi nulla trattiene più il pennello verso forme liberissime, macchie in movimento irrompente, proprio perché egli ormai sa che accanto al colore vi è il movimento che è uno col colore stesso. I punti oggettivi di partenza vengono sfumati e poi distorti. La superficie pittorica ha due dimensioni che trasformano la risonanza del moto interiore in impronta plastica. Questa ultima dunque è dettata a partire dall’ignoto, attraverso il moto interiore. La radice della creazione per Falcolini risiede nelle forme eidetiche e imagopoetiche della pittura contemporanea. Il suo rapporto con il modello-oggetto è di identificazione e non certo di imitazione. L’originalità, come espressione creativa autonoma, viene raggiunta per mezzo di una composizione spontanea, risultata da una paziente ed intensa derivazione storica del già esistente.
La pittura di Falcolini potrebbe apparire francese: in realtà lo è nella misura in cui riprende una tradizione di pittura così intensamente mortificata dall’azzeramento informale. Una nuova pittura che presume un figurato che non sia un prodigio dl “bellezza”. La bellezza ch’egli cerca è (come per Apollinaire) al di là dell’esigente riprodursi della nostra specie.

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